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Luoghi comuni sulla cannabis autofiorente

Quando si chiama in causa il mondo della cannabis, un doveroso cenno va dedicato alla tipologia autofiorente. I semi di cannabis con questa caratteristica sono noti per il fatto di non essere fotoperiodici e per permettere di apprezzare risultati relativi al raccolto in poche settimane. Anche se sono disponibili in commercio da diversi anni – il loro ingresso sul mercato risale all’inizio degli anni 2000 – come nel caso di altri prodotti legati al mondo della cannabis sono spesso associati a numerosi luoghi comuni. Quali di preciso? Scopriamolo assieme nelle prossime righe di questo articolo.

La potenza inferiore

Quando si parla di cannabis autofiorente, tra i luoghi comuni più diffusi rientra l’errata convinzione che da questa tipologia di semi nascano piante meno potenti. Non è affatto vero! Come in tutti i casi in cui si ha a che fare con un falso mito, anche in questo è opportuno approfondire i motivi dietro alla falsa diceria.

Secondo i breeder più esperti, tutto sarebbe partito a seguito dell’immissione in commercio della Lowryder, una varietà di cannabis caratterizzata dalla presenza di una percentuale massima di THC pari al 10. La sua messa a punto, frutto del mix fra le tre genetiche Mexican ruderalis, Northern Lights #2, e William’s Wonder, sarebbe legata alla volontà di dare vita a una tipologia di cannabis adatta a chi è alle prime armi con il consumo della pianta.

Da quando la Lowryder è stata proposta sul mercato le cose sono cambiate radicalmente e, oggi come oggi, è possibile trovare online e presso gli shop fisici varietà dal profilo vigoroso e in grado, dal punto di vista della potenza, di non far rimpiangere la cannabis regolare.

La cannabis autofiorente non va rinvasata

Quando ci si informa in merito alla cannabis autofiorente, si sente spesso chiamare in causa la raccomandazione relativa al fatto di non rinvasare le piante. Attenzione: rispetto alle varietà regolari bisogna andare incontro a un po’ più di difficoltà quando si parla di trapianto, ma nulla di insormontabile.

Esistono infatti diversi accorgimenti grazie ai quali è possibile bypassare problematiche come lo shock a carico delle radici. In questo novero è possibile citare il fatto di procedere al trapianto utilizzando, per il secondo basso, la medesima tipologia di terreno della coltivazione principale.

Un altro trucco tanto semplice quanto utile per non incontrare criticità nel momento in cui si rinvasano le piante di cannabis autofiorente prevede di inumidire leggermente il terreno.

Il ciclo di luce di 24 ore è la scelta migliore

Chi è alle prime armi con la coltivazione della cannabis autofiorente e non si informa in maniera sufficientemente approfondita, può pensare che il ciclo di luce di 24 ore sia il non plus ultra per ottenere raccolti di qualità. Anche in questo caso, si tratta di un falso mito. I riferimenti relativi al ciclo di luce per le autofiorenti dipendono innanzitutto dalla varietà che si coltiva. Ne esistono alcune per cui è meglio orientarsi verso lo schema 18/6. Questa opzione rappresenta la scelta giusta nei casi in cui si ha voglia di apprezzare un buon risultato in meno di 60 giorni dalla semina.

Le varietà di cannabis autofiorenti non si possono clonare

Proseguiamo con un altro luogo comune molto diffuso quando ci si addentra alla scoperta del mondo della cannabis autofiorente. Il processo sopra citato, seppur farraginoso, si può concretizzare senza problemi. Cosa bisogna fare di preciso? Prelevare una piccola talea dalla pianta madre. Quello che conta è che quest’ultima sia di altissima qualità.

Il raccolto è scarso

Anche in questo caso, non c’è nulla di vero. Per amor di precisione, l’affermazione che dà il titolo a questo paragrafo non è sempre vera. Tutto, infatti, dipende dalla varietà che si coltiva. Alcune di esse, sono state selezionate per raggiungere altezze affini a quelle delle fotoperiodiche.

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